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Avevo vent'anni, non consentirò a nessuno di dire che è la più bella età della vita.
(Paul Nizan, Aden Arabia)
















non sono niente... a parte questo, dentro di me ho tutti i sogni del mondo (Fernando Pessoa)




si sente di continuo parlare addosso ai giovani come di una generazione vuota, a perdere.
senza valori, senza sogni, senza idee...
ma DI CHI parlano?
non è così. bisognerebbe invece cominciare ad ascoltare.
vogliamo condividere opinioni, idee, problemi ed emozioni.
perché è difficile avere vent'anni... però è bellissimo essere sognatori.

>>>per dialogare con noi, lascia un commento ai post, oppure scrivi a: rimari[a]email.it










Pensate che siamo stupidi
pensate non sappiamo parlare
pensate non sappiamo pensare
che non guardiamo se non schermi
non mastichiamo se non gomme
non ascoltiamo se non rumore
non siamo se non messaggi digitati veloce su un cellulare
non abbiamo parlato per non stupirvi troppo
per non togliervi quest'unica piccola convinzione
forse sarebbe difficile per voi sapere di avere figli pensanti
sapere che noi ancora pensiamo
noi sì
ancora non abbiamo azzerato il cervello
ancora sentiamo il soffio del vento
ancora scriviamo parole nere su fogli bianchi
abbiamo provato a colorare i muri per comunicarvi il nostro essere
la nostra gioia
a volte
la gioia a volte di essere anche noi su questo pianeta
ci avete chiamato vandali
non siamo altro che urlatori
dite
non abbiamo più valori
non è vero
non è questo che siamo
forse siete voi che non siete
siete voi che più non sentite
che più non volete leggere le nostre labbra
è più facile credere ad una generazione di crisi
inetti smidollati semplicemente troppo tecnologizzati
la guardiamo per farvi piacere la televisione
teniamo le cuffie per non sentire i vostri continui litigi
siamo stanchi
stanchi del mondo che ci troviamo davanti
stanchi di sentirci ripetere parole vuote
stupidi, siamo, voi dite?
No
ma continuatelo pure a credere
se ciò vi fa piacere
un giorno ce ne andremo in silenzio
ricominceremo a volare
in silenzio
tireremo fuori le nostre ali nascoste
tornerà fuori la nostra coda a darci equilibrio
di nuovo potremo vagare tra boschi e montagne
di nuovo perderci nel verde infinito
respirare l'odore di resina
quello che oggi il fumo del vostro denaro cancella
ce ne andremo in silenzio
forse vi lasceremo un messaggio
ma scritto
scritto per bene su lettera antica
così finalmente vedrete che siamo umani
siamo ancora umani
forse più umani di voi
sappiamo volare
sappiamo pensare
è difficile credere, lo so
credete che siamo stupidi
credete che non possiamo capire
che non abbiamo più voglia
credete
che siamo svogliati
forse solo troppo stimolati
ma invece no
ve lo dico io
ancora capiamo le vostre parole
se non rispondiamo è per non mettere in crisi anche voi
per non farvi pensare
sarebbe troppo difficile
lo sappiamo
troppo doloroso rendersi conto di cosa sono oggi gli umani
noi lo sappiamo
noi sulla nostra pelle lo sentiamo
per amor vostro
amor della specie
per ora taciamo
per ora
ma un giorno,
presto
un giorno saremo stanchi
un giorno vorremo di nuovo
poterci sussurrare ti amo
sussurrarlo
piano
sussurrarlo
talmente piano
che soltanto le stelle potranno sentire che stupidi ancora non siamo


(Alice Keller - da: POESIA DI PAROLE)

di ALICE puoi leggere:
ALFABETO DELLO STOMACO (E DEL CUORE) - Ed. Pendragon








QUEL GRANDE PROBLEMA CHE È CRESCERE
di "juliancarax"
da: Repubblica@scuola

Adolescenza. Una parola che fa pensare a tanti significati, forse troppi: amicizia, scuola, amore, sofferenza, solitudine e quant’altro. Momenti che segnano un individuo per il resto della vita, positivi o negativi che siano. Durante quegli anni si diventa come la luna: c’è una parte che non viene mostrata a nessuno. Sì, perché oltre alla scuola, agli amici, ai partner c’è altro. C’è il buco nero di un futuro, quel futuro che non è più composto da binari da seguire, bensì da un bosco, dove sta ad ognuno tracciare il proprio sentiero, e talvolta si arriva alla cosiddetta maturità senza ancora conoscere dove si andrà a finire. C’è la famiglia, che è troppo presente, sempre con il fiato sul collo, che non lascia fare i propri errori, oppure non c’è, diventando lo sfondo sfocato di un quadro, dove il soggetto principale si sente orfano, senza qualcuno su cui poter contare in caso di bisogno, a parte gli amici, forse. C’è il mondo, quello vero, non quello di un social network, dove si vorrebbe gridare a polmoni pieni “io ci sono!”, dove ci si vorrebbe affermare e poter dire la propria, senza subire critiche di tutti coloro che con falsi complimenti e falsi sorrisi ruotano attorno al protagonista come pianeti. Ci sono le crisi, le peggiori, quelle di quando non si ha voglia di studiare,non si ha voglia di uscire, non si ha voglia di ascoltare musica né di fare altro; forse leggere, quello sì, perché leggendo si erige un muro con il mondo circostante, ci si immerge del tutto in una storia al tempo stesso uguale e diversa dalla propria. Crisi durante le quali ci si ferma a riflettere sulla propria vita, sui giorni che passano inesorabili e sulle scelte che si rimandano, su quello che si è, che si vorrebbe essere o che si diventerà. Crisi in cui ci si chiude in sé stessi per ore, giorni, mesi. Crisi in cui i più deboli non ce la fanno, affidandosi al sollievo temporaneo di droghe o alcol, o chiudendo il capitolo della propria vita con il suicidio. Crisi in cui ci si sente soli, guardandosi intorno e accorgendosi che a volte non si ha davvero nessuno su cui poter fare affidamento, sapendo che forse su miliardi di abitanti di questo pianeta non si è conosciuti fino in fondo da nessuno. Passa del tempo, le pedine di alcuni si fermano ed escono dal gioco, quelle di altri invece vanno avanti, su percorsi diversi.
Questa è l’adolescenza, quel periodo che si vuole superare, alla ricerca di un equilibrio, ma che al tempo stesso ci si augura che duri per sempre, perché quel che sarà dopo resta ignoto.








Nelle case della famiglia media, i genitori continuavano a scrutare i figli adolescenti, temendo un'aggressione inconsulta, mentre i figli adolescenti continuavano a chiudersi alle spalle la porta della loro stanza, accendendo lo stereo ad alto volume, per stordirsi e dimenticare lo sguardo indagatore dei genitori. I genitori, allora, accendevano il televisore, per stordirsi e dimenticare lo sguardo sfuggente dei figli.
(Antonio Scurati, IL SOPRAVVISSUTO, Bompiani editore)





:: LA PERSECUZIONE DEI GIOVANI

È stato detto di Martin Luther King: “Si possono ammazzare i sognatori. Ma i sogni mai.”
Se invece uccidi un sogno, probabilmente muore anche il sognatore.
La nostra società spreca senza riflettere molte giovani vite. Alcuni, come Carlo e Federico, lasciati a terra su una piazza.
Tanti sacrificati sulla strada, al ritmo dei consumi e della velocità. Altri però sono invisibili, i loro sogni derubati… ragazzi che spariscono in silenzio.
IL NOSTRO LIBRO parla di temi forti, difficili, però non fa discorsi da manuale. Racconta di una storia, la nostra, con la sincerità di un dialogo tra voci vere. Un'amicizia fuori dagli schemi e solidale, che spazza via luoghi comuni e pregiudizi, facendo emergere problemi spesso trascurati (come il maltrattamento nella scuola) ma soprattutto la poesia, l'istinto per la vita, l'intelligenza e la creatività dei giovani.
È UN LIBRO PER SOGNATORI. PER VIAGGIATORI. PER CHI AMA L'ARTE, LA VITA. PER CHI NON HA PAURA DELLA RABBIA E DI AFFRONTARE LE DOMANDE.







cosa succede quando muore un ragazzo di vent'anni?
cosa rimane dei suoi sogni e della sua energia?




PER RICORDARE: FEDERICO ALDROVANDI
http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/

Francesca Boari. Aldro
Cobo Editore, 2009,
pagg. 144, € 16,00

Federico Aldrovandi, 18 anni, muore a Ferrara la notte del 25 settembre 2005 nel corso di un intervento operato dalle forze di polizia, nell’immediata periferia della città.

L’autrice che completerà il romanzo a lui dedicato prima della condanna degli agenti, partirà dalla cronaca per ricostruire il dolore e la dignità della famiglia con una sua originale mediazione culturale tra evento e narrazione. Diventerà così “faber” di una parola che nella crudezza dolcemente –partecipe alla storia, sublima “il fatto” suggerendo un’elaborazione del dolore.
«A Federico, ovunque tu sia, questo libro è per te»
Il testo è testimonianza e parola, rielaborazione e conforto, ricordo e sfacelo, tempo dell’oggi e forza e coraggio di una famiglia che non si è arresa fino a sfondare quel muro di omertà e silenzi che Ferrara aveva annebbiato con un lenzuolo fittizio che copriva un corpo sfigurato. La copertina titola in rosso il nome Aldro su uno sfondo che configura un anonimo selciato di periferia dove l’orrore si consuma e si rapprende. Le lettere del nome riportano Federico all’identità, alla dignità, alla memoria della città, alle parole del libro dedicato a lui e a tutti i giovani e a quanti vivono con loro, seguono la loro crescita e altro non possono essere se non compagni di percorso.
La scrittura ha il grande dono di fermare un’immagine, un fatto, un misfatto e attenuare la rabbia, il rancore, proporre un dialogo, un confronto e una possibile elaborazione del dolore e del lutto. E altro ancora; può essere riletto rimandando al cuore come un tempo che se in realtà dilava è compagno dell’avventura della vita.
«ho voglia di smontare impalcature di paglia»
Queste parole segnano il coro a più voci che l’autrice analizza con una segreta prosa poetica che appartiene ad un costante monologo interiore dove cronaca, pensieri, stralci di diari dell’anima animano il testo e sottolineano con grafie diverse la cronaca, la convergenza d’intenti fra l’avvocato e i genitori, le parole di Patrizia al figlio, quelle di Federico che spesso strozzate dal cuore, dominano il testo e diventano paradigma di una spaesamento giovanile.
Mi guardo sempre da chi dice “ai miei tempi”, sospetto di chi giudica e si ritiene immune da sbandamenti, allontano chi sostiene “a me non capiterà mai, mio figlio mi dice tutto” e l’autrice, nella poesia che scorre nel testo è proprio entrata dentro il “debole - mai” per guardare con gli occhi di una madre e di un’insegnante l’età breve della “segretezza”. È periodo difficile a cui spesso il silenzio e il non-detto accompagnano la ricerca di un’autonomia complessa, necessaria e dolorosa, da condividere con qualche amico, ma soprattutto con se stessi, scavarne gli abissi e le solitudini, avvertimenti di “altro”, subirne la colpa e la necessità insieme. Tra rientri e paure tornare ed andare come se… come se niente stesse succedendo alla vita che cambia e ai sogni ormai fuori dai cassetti e disordinati nella mente. Spesso la dimensione del vuoto si assorbe con musica che stordisce, con un bicchiere di troppo, con rancore malcelato verso tutti e tutto, anche verso se stessi.
Momento di attesa di un’alba in cui il nostro guerriero non ha visto la luce ma l’ha fatta rivivere in chi ha lottato, cercato, ricostruito, voluto conoscere in un tempo che ha abbattuto bugie e fatto emergere l’amore.
Quello che non ha timore di lottare per la verità e la ricerca della dignità, quello che non condanna e non giudica ma coinvolge persino l’avvocato della famiglia Aldrovandi entrando dentro ad una sua personale ricerca di vita nel rapporto preoccupato ed assorto con la figlia, nella forza che avverte in Patrizia, nel silenzio del padre e del fratello.
Resta alta la voce, nonostante gli spaccati di una vita della famiglia Aldrovandi che riportano pranzi dove sempre si riordina in silenzio, dove lacrime scorrono sulle guance di Stefano che aspetta la mamma in sala davanti alla televisione, dove la sua voglia di parlare si fissa davanti al video insieme alle parole di Federico: «fregatene se non mi lavo le mani/ le mani sporche saranno altre non le mie, mamma… mi piace anche questo tavolaccio… Mi piacete voi perché siete tutta la mia vita passata, oggi, non domani, lo so… da domani resterà sulla terra solo una linea abitata da un’ombra… se uno, uno solo avrà il coraggio di sollevare quel velo, allora ci sarà ancora un inizio.. la verità, purtroppo, è che c’è molto più senso in ciò che fuggiamo rispetto a ciò verso cui corriamo disperati».
Il “condividere tanta sofferenza con sincera partecipazione senza pena o compassione” viene così a significare l’essenza delle parole di Francesca Boari e sarà premessa a qualsiasi altro nostro/vostro incontro. Soltanto con la vostra giovinezza potremo dialogare per salvarci da una maturità e vecchiaia immobili e giudiziali e a voi giovani chiediamo di dare voce ad “un assordante silenzio”.

Patrizia Garofalo
ARTICOLO PUBBLICATO SU http://www.tellusfolio.it/



Ho 18 anni...
la mia vita è come quella di tanti,
sono solo un ragazzo fra gli altri
e come gli altri, ho sogni più o meno ingombranti,
qualche progetto e lo sguardo in avanti
com'è normale se la strada alle tue spalle
è molta meno
di quella che ti resta da affrontare
che poi è normale, pensare, che il mondo ti appartiene
e che tu soltanto lo puoi cambiare
Il mio presente sono la patente, musica e karate,
lo sport e le serate insieme alla mia gente
il mio presente è già passato e tale lo è diventato
in data ventiquattro settembre
sono un ragazzo come tanti, nè diavoli nè santi,
di quelli che si trovano in piazza
di quelli che vogliono vivere, ma senza accontentarsi,
il mio nome è Fede, Federico Aldrovandi.
...
RACCOGLI I MIEI SOGNI DA TERRA E CONSERVALI INTATTI NEL CUORE CON TE

.....................................................................IO RIMANGO CON TE

LA CROCE
[2009]
Lyrics and music by Darkeemo
Ho scritto questa canzone ad inizi 2006. Mi pare fosse gennaio, perchè fuori nevicava, e saremmo dovuti scendere a Roma a suonare pochi giorni dopo. Ho scritto questa canzone dopo avere letto il primo post sul blog aperto dalla madre di Aldro.
Questa canzone racconta la storia di un ragazzo. Come me, come voi. Un ragazzo di nome Federico. Come me, come certamente qualcuno di voi. E mi sono rivisto in questo ragazzo, al ritorno verso casa dopo una serata trascorsa con gli amici. Quante volte è successo anche a me, e di sicuro anche voi, di salutare la comitiva e dirigersi a piedi verso il nido.
Se anche soltanto una persona andrà su Google a cercare la storia di Federico, questa canzone avrà svolto il suo compito. Perché la Verità rimane, la Verità esiste, la Verità dobbiamo avere il coraggio di cercarla. (Federico-Darkeemo)





IL REATO DI ESSERE GIOVANI
:: Bentornato a casa a Stefano Gugliotta. Uscito il 5 maggio del 2010 per fare un giro in motorino, a Roma nei pressi dello stadio. Ma c'era la partita. La polizia stava cercando un ultras con la maglia rossa... Per ritornare a casa a Stefano è servita un'intera settimana. Trascorsa in carcere, da dove è uscito il 12, con qualche punto in più e qualche dente in meno.
I suoi reati: essere giovane - passare di lì - indossare la maglietta sbagliata.
:: Bentornato a casa a Emmanuel Bonsu. Che passeggiava a Parma sotto sera in un parco cittadino. Però la polizia municipale l'ha scambiato per un pusher... E' ritornato la mattina dopo, qualche ematoma sulla faccia e tra le mani una busta con su scritto "Emanuel negro"
I suoi reati: essere giovane - passare di lì - indossare la pelle sbagliata.
:: Non è tornato Federico Aldrovandi. Ferrara, 18 anni, settembre del 2005. Morto sotto le stelle che si era fermato per guardare. In un controllo di polizia. Ma la sua maglia era del "tipo centri sociali"
I suoi reati: essere giovane - passare di lì - indossare la maglietta sbagliata.

Nella battaglia giudiziaria e civile che la famiglia Aldrovandi sta portando avanti per ottenere verità e giustizia, Federico è diventato il simbolo di tutti quei ragazzi che non sono più tornati.
Malgrado mi sia stato tolto Federico, io continuo a sentire l'esigenza di un futuro bello. Continuo a sentire, come mamma, l'esigenza di lasciare un mondo più pulito di quello che mio figlio purtroppo ha trovato. (Patrizia Moretti Aldrovandi)


ALMENO LI'...
FONTE> http://lerrico.blogspot.com/

A Stefano Gugliotta è andata meglio che a Federico Aldrovandi.
Via Pinturicchio a Roma non è Via Ippodromo a Ferrara.
Almeno lì qualcuno si è affacciato, ha gridato "basta"
con lui, per lui,
qualcuno ha filmato...
forse ha salvato la vita a quel ragazzo.

Di quell'altro, qualcuno che è rimasto a spionare dietro le persiane
ha detto persino "avran fatto bene, si vede che si meritava una lezione".
Perché se la legge, lo stato, picchia, deve avere una qualche buona ragione
e alla fine è colpa tua.
Che sei troppo negro, ubriaco, vestito da centro sociale,
forse sei così spavaldo e incosciente da rilanciargli addosso il loro estintore,
forse indossi la maglietta del colore sbagliato e non il casco,
o solamente ti trovi lì per sbaglio,
nel posto sbagliato, al momento sbagliato, nel paese sbagliato...





DIAZ, CONDANNATI I VERTICI DELLA POLIZIA
L'APPELLO RIBALTA LA SENTENZA DI PRIMO GRADO


18 maggio 2010
GENOVA - I giudici della Terza sezione della Corte d'Appello di Genova hanno ribaltato la sentenza di primo grado 1 per i disordini e l'irruzione alla scuola Diaz del luglio 2001 a Genova. Tutti i vertici della polizia, che primo grado di giudizio (2008) erano stati assolti, hanno subito condanne comprese tra 3 anni e 8 mesi e 4 anni unitamente all'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Tra loro tutti i massimi esponenti delle forze dell'ordine. Nel complesso le pene superano gli 85 anni. In totale sono stati condannati 25 imputati sui 27.

(foto: Genova, G8-luglio 2001, Caserma Diaz)






FONTE > http://parma.repubblica.it/
CASO BONSU, TUTTI A GIUDIZIO
Settembre 2008: il giovane studente ghanese Emmanuel Bonsu viene scambiato per il palo di un pusher durante un'operazione antidroga di una squadra di vigili urbani. Viene picchiato, arrestato, portato al comando della municipale e sottoposto a umiliazioni razziste. Il suo caso esplode sulla stampa nazionale e internazionale. Due anni dopo, il 23 settembre 2010, otto dei dieci agenti coinvolti in quell'operazione dovranno comparire davanti al giudice del tribunale di Parma Paolo Scippa per rispondere di differenti capi d'accusa, che vanno dal falso ideologico al sequestro di persona. Gli altri due hanno scelto riti alternativi.





LA PERSECUZIONE DEI GIOVANI
di Andrea Scarabelli

Se vedi novanta poliziotti in assetto antisommossa a Milano, sui navigli, in un’alba spenta che solo novembre sa offrire, pensi di assistere a un’operazione di estrema gravità e urgenza. Magari per sventare qualche pericolosissima minaccia terroristica esotica, come quella che da oggi scopriamo incombere sul nostro premier. Se poi li vedi circondare il Lab Zero o Ringhiera, insomma la casa occupata sul nuovo parco lungo Ripa di Porta Ticinese, pensi che sia imminente lo sgombero, un’altra mossa dell’offensiva unilaterale innescata da questa città contro tutti gli spazi non omologati in nome della “riqualificazione”.
Invece, no.
Questo venerdì 13 novembre, quell’impressionante schieramento di poliziotti è lì per arrestare tre degli occupanti. Tre pericolosissimi appena ventenni, ancora addormentati. Altri due ragazzi sono già stati prelevati dalle loro abitazioni nell’hinterland, buttati giù dal letto come criminali pronti alla fuga. Tutti e cinque hanno tra i venti e i ventiquattro anni, uno di loro finisce a San Vittore, gli altri quattro ai domiciliari. L’accusa è di rapina aggravata e lesioni, sembra che rischino dai quattro ai dieci anni di carcere.
Che cosa hanno fatto?
Si sono rifiutati di pagare qualche centinaio di fotocopie fatte presso la libreria Cusl dell’Università Statale, il 2 ottobre scorso. Un bottino di al massimo una ventina di euro.
Forse la notizia riportata nella sua brutalità può restituirci un po’ dello sconcerto che non siamo più in grado di provare. Mese dopo mese, in questa Italia e in questa Milano, STIAMO IMPARANDO AD ACCETTARE NUOVI LIVELLI DI REALTA'. Una situazione simile fino a poco tempo fa sarebbe stata letta come un falso, uno scherzo, una deformazione, qualunque cosa; oggi esiste, è terribilmente reale, forte di tutti i presupposti che l’hanno resa possibile. La nostra opinione pubblica sembra vivere in una condizione di stress post-traumatico che fa accettare passivamente qualsiasi cosa. Siamo pronti quindi a tollerare un simile spreco di risorse pubbliche per uno schieramento di forze delirante, allo scopo di fermare cinque persone perfettamente reperibili in qualsiasi momento, cinque ragazzi che avevano compiuto un’azione la cui gravità si equipara al rubare la merenda a un compagno a scuola, nell’ora di ricreazione. Cinque ragazzi appena più giovani di me, che ora rischiano di vedere la loro vita rovinata. In una città come Milano, in cui è ormai impossibile nascondere il vergognoso scandalo della penetrazione della criminalità organizzata nell’edilizia e nei fantomatici lavori per l’Expo, in cui evidentemente i problemi di illegalità stanno a ben altri livelli, questo non può e non deve essere reale.
Lo è, invece, e non solo: ci tocca leggere articoli di giornale spietati come quelli subito comparsi, pronti a trattare questi ragazzi come soggetti altamente pericolosi, con grande sprezzo del ridicolo.
È ormai evidente che stiamo assistendo a una vera e propria persecuzione dei giovani, come aveva già osservato qui Valerio Evangelisti nel suo editoriale Ucciderli da piccoli: anche questo ennesimo episodio non deve essere considerato slegato dagli altri agghiaccianti avvenimenti degli ultimi giorni. Prima di tutto le circa sessanta denunce partite per i cortei dell’Onda dello scorso anno. Poi l’assedio sistematico a tutte le forme di cultura e di aggregazione giovanile, con l'esempio surreale dell’inaugurazione della cancellata che impedisce l’accesso alla collinetta davanti al Mom proprio nel giorno del ventennale della caduta del muro di Berlino (!). Qualsiasi richiesta di spazi viene negata, prima a parole, e poi da uno sbarramento di manganelli. Infine forse il caso più angosciante di tutti, la chiusura del liceo serale statale Gandhi, fiore all’occhiello della città, i cui studenti sono stati a loro volta perseguitati, continuamente sgomberati, picchiati e dispersi, e aspettano in presidio permanente in tenda da due mesi, solo per rivendicare il proprio diritto allo studio. Il comune ha avuto il coraggio di mantenere la propria posizione anche dopo la sentenza del Tar che ha dato ragione agli studenti, bloccando la chiusura della scuola.
Sempre venerdì 13, di sera, gli studenti hanno provato a occupare per protesta la sede delle scuole civiche, in via Marsala. Sono stati sgomberati la mattina dopo, all’alba, dai soliti poliziotti armati fino ai denti come se dovessero fare irruzione in un covo mafioso. Il video dell’operazione stringe il cuore.
Eppure anche questa realtà è possibile, proprio perché abbiamo imparato ad accettarla: quella della fiamma ossidrica della polizia che apre la porta, mentre gli studenti sempre più angosciati cantano in coro con voce rotta “vogliamo solo studiare”.

Ho scritto questo intervento di getto, pieno di sconcerto e rabbia per quanto accaduto e per il fatto che quasi nessuno avesse preso posizione in merito, e proprio ora mentre rileggo il pezzo sto seguendo la diretta del corteo di oggi, sempre a difesa del liceo Gandhi, in centro, in cui la polizia ha fermato altri quattro ragazzi e caricato i manifestanti. Difficile davvero, di questi tempi, essere giovani a Milano. Non respiri, e non si tratta solo dei veleni a cui l’aria ti condanna ogni giorno. Non esiste lo spazio vitale per crescere, agire, fare proposte culturali proprie. Non esiste un mercato di lavoro capace di vederti come una risorsa, e non come un pezzo di carne rimpiazzabile in qualsiasi momento, e fino ad allora sfruttabile a piacere, gratis.
Difficile davvero, resistere alla tentazione di andarsene da un paese che sa solo sputare su di te. E che ti ripaga così della scelta di restare, di impegnarti a costruire qualcosa in mezzo a tutto questo disastro.
Rimboccati le maniche, perché sarà dura davvero.

Pubblicato su CARMILLA - Novembre 17, 2009
(articolo pubblicato con il consenso dell'autore)